Memoria della Bova  (Boa) 

Anno del Signore 1701

 

Il 2001 è il trecentesimo anniversario della più grande catastrofe che ha colpito La Valle Agordina: La Boa. Una spaventosa frana che condizionò da allora la vita del piccolo paese di montagna. Di seguito è trascritta fedelmente la storia di quei giorni. 

Autore Giacomo Simonetti.

Il grande Iddio

Padrone e Sovrano di tutte le cose, visibili et invisibili, che regge e governa, che premia e castiga con somma Giustizia.

           Volendo io descrivere il flagello che Iddio mandò nella Comunità di La Valle, io credo che non sarà successo quasi mai una cosa tale nè vorrà gnanche che avesse a succedere inverun luogo un castigo di tal genere nell'avvenire. Dunque mi inchino davanti a Dio e lo supplico a volermi donar grazia di poter col mio povero talento darvi a conoscere e con il vostro agiuto accompagnarmi nel racconto e successo spettacolo. Oh quanto siete giusto, o Signore! Mai comparve alla meraviglia di questo disfortunato Comune di La Valle e che sia mai avvenuto ci racconta Giacomo De Zordi, che di anni 12 principiò ad andare a Bologna e parlando con omini di carattere e diverse persone si dilettava di ragionare di questi spaventevoli successi; ma massime fino allora aveva mai sentito un caso simile e preghiamo pure Iddio a volerne preservare da simili castighi, che è impossibile dare a intendere massime a certi mondani libertini del secolo d'adesso, che il rammemorare queste cose fa loro nausea e fastidio, quello che non faceva a quelli disgraziati d'allora, che molti dallo spavento avevano perduto perfino i sensi e divenuti quasi fuori di sè stessi dallo spavento. 

           Vivendo allora la felice memoria di S.S. Papa Urbano IX, diva alla fine di quel secolo allora ormai passato, cioè nel 1699 ovvero nel principio dell'anno venturo 1700 cioè dell'anno 1701 avria avuto caro di essere al mondo ma non di essere Pontefice, che diceva che doveva succedere qualche gran calamità di guerra e altri disagi, il che si verificò: avvenne una guerra sotto Mantova per Milano fra due grandissime potenze, cioè il gran Re di Francia e la Corona Imperiale. Da noi non è stata la guerra li nostri castighi, ma come piace al nostro sommo Creatore, che di quando in quando vuole risvegliare le sue creature con qualche castigo, giusta quando dimenticano il loro Dio, che vorrebbe salvarci tutti e che per il grande amore che ha verso di noi, discese dal cielo e si fece uomo e ha patito una passione dolorosa e una morte crudele, onde ci è di bisogno che noi ancora per suo anore sopoortiamo volentieri le d isgrazie che ci manda se volgiamo essere premiati nell'altra vita in Paradiso, se per sua misericordia ci farà degni.

           Nell'anno dell'Incarnazione di nostro Signore Gesù Cristo 1701 sotto il Pontificato di Clemente XI e che governava la città di Belluno Andrea Tiepolo e Vescovo Giovanni francesco Bembo, in quell'anno nel tempo d'inverno cascò pochissima neve per tutta quella invernata nel principio di quella primavera. Poi alli 8 (otto) di Aprile incominciò a venire molta neve e continuò a fioccare in sino alli 15 (qunidici) di detto mese e alla montagna ne gera più di due passi e così non potendo più sopportare il terreno per essere anche la stagione di primavera, si che volendo il popolo di La Valle che l'acqua chiamata la Missiaga era così grande e intorbidita che faceva maraviglia a ciascheduno che la guardava. E in essa scorreva e menava legni di tabià ed arbori ed altre materie, ma non pensavano quello che poteva succedere e che è successo. Cosicchè dopo, l'acqua conduceva questi legnami e la gente andava a raccoglierl i. Essendo questo tempo giorni di giubileo, onde il giorno 11 (undici) Aprile alle ore 12 (dodici) di sera in giorno di venerdì, essendo il tempo piovoso ed il terreno gonfio dall'acqua e dalla neve, videro una impetuosa "bova" (frana) mista di neve e terra ed arbori che veniva per detta acqua Missiaga e tutto il popolo si credeva tutti morti e tutti ad alta voce gridavano misericordia per il gran spavento che avevano.

           La "Bova" era alta più di 8 (otto) passi e poi veniva un gran vento innanzi alla materia, il quale spiantava li alberi fruttiferi e li più grandi nogari che si poteva vedere li sradicava come fossero paglia. In quel medesimo tempo fu anche morto 48 persone tra uomini, donne e fanciulli; di più dispiantava e sotterrava li edifizi che erano in detta acqua , il primo dei quali era follo ed il molino dei follador, nella villa di Cugnago: questo era di Andrea De Cassan. In fine del luogo così detto Cambrusc vi era una sega ad acqua di Pietro Carafia con tabià e casa di Bartolomeo del Valentin Monego con una sua sorella e questa restò morta sotto la materia ed esso potè scappare e salvarsi. E poi vi era un molino di uno chiamato Pietro Zart e il medesimo aveva un piccolo fanciullo il quale gridava: "Padre, scampemo, se no siamo morti". Questo aveva quattro figli con alquanti pezzi di campo e caval lo e casa con le loro sostanze e vi è rimasto solo il padre con un figlio senza più nessuna cosa e quasi ignudi. Un altro molino di Giovanni Battista Monego, con la morte di sua nuora ed un fanciullo con tutte le loro sostanze li quali erano dirimpetto a Fadès. In cima della villa era un molino di Pietro De Col con casa e tabià e cavallo e porci e sua moglie è stata per due ore sotto la "Bova" e poi con l'aiuto di Dio e di suo fratello fu liberata; fu maccata un poco alle gambe ma al resto della vita non si fece nessun male; il peggio era che si trovava vicina al parto e questo era in cao alla villa di Fadès. Quivi era anche una "fusina" di uno così detto Giovanni Friz con casa e tabià e stalla di Simeone q. Zordi Simonetti. Diritto al campo si S. Michele eravi la casa di Matteo Dall'Acqua con tutta la sua roba e sostanze e in quell'istesso luogo eravi la casa di Giacomo Dall'Acqua con tutte le loro sostanze e questo aveva anche un molino e questo era diritto la casa del Rabul e la casa del S. Corte con tre fanciulli. Diritto la casa di Pietro Crose era il molino di Florian De Col da Torsàs ed esso restò privo di tutte le sue sostanze. Giù diritto la casa del Coda era il molino del fu matteo De Cassan, detto Suic e poi eravi il tabià del fu Michele Zos con campi e prati e alberi e ancora , massime campi in gran quantità e non è possibile dare ad intendere il gran luogo che restò seppolto, ma vi darò li contrassegni e la lontananza che v'era dall'acqua, cioè il suo canale, da Cugnago e l'acqua due tiri di fucile, da Fadès a l'acqua due tiri di sasso. 

           In diritto a Crostolin eravi una sega di Giuseppe Da Ronche e molino chiamato del Lovo con una donna e due fanciulle e tabià e stalla e animali e altre facoltà. A due ore di notte la "Bova" è arrivata al fiume così detto Cordègol con gran spavento di quelli di Ponte  Alto. La notte seguente quelli di La Valle tutti spaventati scapparono e avevano abbandonato le proprie case, con fanciulli in braccio recitando il "Miserere" e il Rosario e le Litanie raccomandandosi a Dio e a Maria e salirono su per li monti. Quelli di Cugnago gridavano ad alta voce: "Scampa, scampa" a quelli degli altri villaggi. Quelli di Fadès abitavano su per li Regolei e il simile quelli di Lantrago alla Forcelletta e su in Col dei Zos, i quali per il gran spasimo non si vedevano più sicuri gnanche qui, quivi stettero per lo spazio di 10 (dieci) giorni prima di ritornare nelle loro case. E di continuo, giorno e notte , correva la "Bova" con gran romore e la gente non si fidava più di abitare le proprie case; appena andava a prendersi da mangiare e poi correva senza serrare neppure le porte. Lasciava in abbandono le bestie, le quali giacevano morte su li monti e nelle stalle. Per l'acqua da farsi da mangiare si serviva di quella di Lac, cioè di qua di lantrago, ai pie' de li colli era a Regolei e quelli di Lantrago similmente e quelli di Cugnago su a Zeidarif, ossia la piaia, e quelli di conaja entro a Cogol, quelli di Torsàs su per la montagna, e quelli di gaidòn fuori per le Colle e fuori a Roit.

           Il giorno 15 (quindici) Aprile andarono a cercare li morti ma si trovarono solo teste e gambe e busti, ma nessuno intero, ma bensì tutti in pezzi, e non si conoscevano più da uomini o donne. Fecero poi venire la Giustizia di Belluno, due o tre volte; ma poi vedendo che la spesa andava troppo alta si fece venire un ordine da Belluno , di farsi venire il Meriga a vedere li morti, e ne hanno trovato fino a Burbàn. Il popolo allora principiò a pensare dove si partisse tanta materia e li cadaberi insieme. E allora il popolo confuso e tramortito com'era non poteva neppure andare a vedere dove si partisse tanta materia per la gran neve che era ancora in montagna. Ma i più coraggiosi si sforzarono di andare a vedere e trovarono che mancavano i prati di Nadera e Tamer e Rive e fu giudicato che sia mancato per più di 200 carri di fieno, andato tutto in rovina. Per 12 (dodici) giorni restarono su per li colli e mo nti e neppur qui non si vedevano sicuri e non andavano più ad abitare le proprie case. Allora è venuto il Reverendissimo Don Giovanni, nobile Miari Bellunese, Arcidiacono in Agordo, venne a La Valle a consolare il popolo, lo esortò a ritornare nelle proprie case e così la maggior parte ritornarono. Ma li fanciulli sui 8 (otto) anni erano tanto impauriti che non si poteva più ridurli nelle ville. Li tre villaggi di qua, cioè Cugnago, Fadès e lantrago non potevano più andare alla chiesa e a Messa perchè si affondavano nella "Bova" e disordinata materia di neve e terra mista . Tuttavia s'ingegnavano con mettere tavole una dietro l'altra e così andavano a messa e alle funzioni. Di più era allora il tempo di seminare ma ohimè !...nessuno si curava più di seminare le loro biade. Li sacerdoti poi di La Valle, cioè il Reverendo Don Giovanni Domenico Apollonio degnissimo Parroco di questo Comune ed il Degnissimo Mansionario delle anime Don Desiderio Taio e il Degnissimo Don B artolomeo Marchioni, Cappellano.

 

SI TRATTA DELLA NOVA ROVINA CHE SPIANTO'
LA CHIESA E LE DUE CANONICHE
Ma il Dio grande padrone dell'universo mondo volle compiere il destinato castigo e mandò pure un altro castigo e flagello assai più orribile del primo. Dunque li 22 (ventidue) Aprile in giorno di martedì alle ore tre di notte , mentre tutti erano a letto si sentì un terribile terremoto il quale fece trenare tutte le case, e cascavano li coperti delle case sicchè tutti spasimati si raccomandavano a Dio, si levarono dal letto e cominciarono a scappare di nuovo sulli monti vicini. Sentivano che la "Bova" correva di continuo, con gran romore ed urli spasimevoli, che si credeva si subiasse non solo La Valle, ma il mondo intero, e lo sventurato popolo passò tutta la notte in orazione. Giunta poi la mattina di Mercoledì incominciarono a guardar verso la Chiesa di San Michele Arcangelo, ma per via di caligine non potevano veder il loco e neppure si vedevano le Ville, quindi venuta l'ora d ell'Avemaria e non sentendo suonarla dicevano tra loro: " che cosa potrà essere che in questo giorno non si sentono suonar le Avemarie ? ". Ma venuta poi un'ora di giorno cessò la nebbia. Oh! Videro il dolorosissimo e spaventosissimo successo: che quel Preziosissimo Tesoro è rimasto vittima della rovina insieme con le due Canoniche dei preti e dei nonzoli e la deliciosissima Cappellina di Loreto, dispiantete al tutto d'ogni cosa. Onde il popolo comonciò a piangere amaramente e gridar misericordia vedendosi esser privo di così bel Santuario e del rimanente. Massime quelli della Villa di Conaggia subito che hanno il rumore lasciato da parte il timore e vestiti di zelo e coraggio si fecero incontro alla Chiesa, videro il gran flagello e udirono una lamentevole voce che gridava: " ohe di Conaggia, aiuto, aiuto se no son morto ! " ; e si avvicinarono e trovarono essere Don Bartolomeo Marchioni quasi mezzo sotto la rovina. 
 
          Simile era venuto alla serva del Rev. Don Desiderio Taio il vento l'aveva portata via senza essere neppure mossa dal letto e portata giù nella strada alquanti passi lontano dalla Canonica e anche dalla rovina e senza nessun danno, essa del continuo chiamava il suo padrone , ma indarno, perchè il campanile fu rovesciato sopra la sua camera e fu trovato morto. Menarono quindi il primo prete Don Bartolomeo Marchioni su a maten e fu medicato perchè era tutto ammaccato ...