Padrone e Sovrano
di tutte le cose, visibili et invisibili, che regge e governa, che
premia e castiga con somma Giustizia.
Volendo io descrivere il flagello che Iddio mandò nella Comunità di La
Valle, io credo che non sarà successo quasi mai una cosa tale nè vorrà
gnanche che avesse a succedere inverun luogo un castigo di tal genere
nell'avvenire. Dunque mi inchino davanti a Dio e lo supplico a volermi
donar grazia di poter col mio povero talento darvi a conoscere e con il
vostro agiuto accompagnarmi nel racconto e successo spettacolo. Oh
quanto siete giusto, o Signore! Mai comparve alla meraviglia di
questo disfortunato Comune di La Valle e che sia mai avvenuto ci
racconta Giacomo De Zordi, che di anni 12 principiò ad andare a Bologna
e parlando con omini di carattere e diverse persone si dilettava di
ragionare di questi spaventevoli successi; ma massime fino allora aveva
mai sentito un caso simile e preghiamo pure Iddio a volerne preservare
da simili castighi, che è impossibile dare a intendere massime a certi
mondani libertini del secolo d'adesso, che il rammemorare queste cose fa
loro nausea e fastidio, quello che non faceva a quelli disgraziati
d'allora, che molti dallo spavento avevano perduto perfino i sensi e
divenuti quasi fuori di sè stessi dallo spavento.
Vivendo allora la felice memoria di S.S. Papa Urbano IX, diva alla fine
di quel secolo allora ormai passato, cioè nel 1699 ovvero nel principio
dell'anno venturo 1700 cioè dell'anno 1701 avria avuto caro di essere
al mondo ma non di essere Pontefice, che diceva che doveva succedere
qualche gran calamità di guerra e altri disagi, il che si verificò:
avvenne una guerra sotto Mantova per Milano fra due grandissime potenze,
cioè il gran Re di Francia e la Corona Imperiale. Da noi non è stata
la guerra li nostri castighi, ma come piace al nostro sommo Creatore,
che di quando in quando vuole risvegliare le sue creature con qualche
castigo, giusta quando dimenticano il loro Dio, che vorrebbe salvarci
tutti e che per il grande amore che ha verso di noi, discese dal cielo e
si fece uomo e ha patito una passione dolorosa e una morte crudele, onde
ci è di bisogno che noi ancora per suo anore sopoortiamo volentieri le
d isgrazie che ci manda se volgiamo essere premiati nell'altra vita in
Paradiso, se per sua misericordia ci farà degni.
Nell'anno dell'Incarnazione di nostro Signore Gesù Cristo 1701 sotto il
Pontificato di Clemente XI e che governava la città di Belluno Andrea
Tiepolo e Vescovo Giovanni francesco Bembo, in quell'anno nel tempo
d'inverno cascò pochissima neve per tutta quella invernata nel
principio di quella primavera. Poi alli 8 (otto) di Aprile incominciò a
venire molta neve e continuò a fioccare in sino alli 15 (qunidici) di
detto mese e alla montagna ne gera più di due passi e così non potendo
più sopportare il terreno per essere anche la stagione di primavera, si
che volendo il popolo di La Valle che l'acqua chiamata la Missiaga era
così grande e intorbidita che faceva maraviglia a ciascheduno che la
guardava. E in essa scorreva e menava legni di tabià ed arbori ed altre
materie, ma non pensavano quello che poteva succedere e che è successo.
Cosicchè dopo, l'acqua conduceva questi legnami e la gente andava a
raccoglierl i. Essendo questo tempo giorni di giubileo, onde il giorno
11 (undici) Aprile alle ore 12 (dodici) di sera in giorno di venerdì,
essendo il tempo piovoso ed il terreno gonfio dall'acqua e dalla neve,
videro una impetuosa "bova" (frana) mista di neve e terra ed
arbori che veniva per detta acqua Missiaga e tutto il popolo si credeva
tutti morti e tutti ad alta voce gridavano misericordia per il gran
spavento che avevano.
La "Bova" era alta più di 8 (otto) passi e
poi veniva un gran vento innanzi alla materia, il quale spiantava li
alberi fruttiferi e li più grandi nogari che si poteva vedere li
sradicava come fossero paglia. In quel medesimo tempo fu anche morto 48
persone tra uomini, donne e fanciulli; di più dispiantava e sotterrava
li edifizi che erano in detta acqua , il primo dei quali era follo ed il
molino dei follador, nella villa di Cugnago: questo era di Andrea De
Cassan. In fine del luogo così detto Cambrusc vi era una sega ad acqua
di Pietro Carafia con tabià e casa di Bartolomeo del Valentin Monego
con una sua sorella e questa restò morta sotto la materia ed esso potè
scappare e salvarsi. E poi vi era un molino di uno chiamato Pietro Zart
e il medesimo aveva un piccolo fanciullo il quale gridava: "Padre,
scampemo, se no siamo morti". Questo aveva quattro figli con
alquanti pezzi di campo e caval lo e casa con le loro sostanze e vi è
rimasto solo il padre con un figlio senza più nessuna cosa e quasi
ignudi. Un altro molino di Giovanni Battista Monego, con la morte di sua
nuora ed un fanciullo con tutte le loro sostanze li quali erano
dirimpetto a Fadès. In cima della villa era un molino di Pietro De Col
con casa e tabià e cavallo e porci e sua moglie è stata per due ore
sotto la "Bova" e poi con l'aiuto di Dio e di
suo fratello fu liberata; fu maccata un poco alle gambe ma al resto
della vita non si fece nessun male; il peggio era che si trovava vicina
al parto e questo era in cao alla villa di Fadès. Quivi era anche una
"fusina" di uno così detto Giovanni Friz con casa e tabià e
stalla di Simeone q. Zordi Simonetti. Diritto al campo si S. Michele
eravi la casa di Matteo Dall'Acqua con tutta la sua roba e sostanze e in
quell'istesso luogo eravi la casa di Giacomo Dall'Acqua con tutte le
loro sostanze e questo aveva anche un molino e questo era diritto la
casa del Rabul e la casa del S. Corte con tre fanciulli. Diritto la casa
di Pietro Crose era il molino di Florian De Col da Torsàs ed esso restò
privo di tutte le sue sostanze. Giù diritto la casa del Coda era il
molino del fu matteo De Cassan, detto Suic e poi eravi il tabià del fu
Michele Zos con campi e prati e alberi e ancora , massime campi in gran
quantità e non è possibile dare ad intendere il gran luogo che restò
seppolto, ma vi darò li contrassegni e la lontananza che v'era
dall'acqua, cioè il suo canale, da Cugnago e l'acqua due tiri di
fucile, da Fadès a l'acqua due tiri di sasso.
In diritto a Crostolin eravi una sega di Giuseppe Da Ronche e molino
chiamato del Lovo con una donna e due fanciulle e tabià e stalla e
animali e altre facoltà. A due ore di notte la "Bova"
è arrivata al fiume così detto Cordègol con gran spavento di quelli
di Ponte Alto. La notte seguente quelli di La Valle tutti
spaventati scapparono e avevano abbandonato le proprie case, con
fanciulli in braccio recitando il "Miserere" e il Rosario e le
Litanie raccomandandosi a Dio e a Maria e salirono su per li monti.
Quelli di Cugnago gridavano ad alta voce: "Scampa, scampa" a
quelli degli altri villaggi. Quelli di Fadès abitavano su per li
Regolei e il simile quelli di Lantrago alla Forcelletta e su in Col dei
Zos, i quali per il gran spasimo non si vedevano più sicuri gnanche
qui, quivi stettero per lo spazio di 10 (dieci) giorni prima di
ritornare nelle loro case. E di continuo, giorno e notte , correva la "Bova"
con gran romore e la gente non si fidava più di abitare le proprie
case; appena andava a prendersi da mangiare e poi correva senza serrare
neppure le porte. Lasciava in abbandono le bestie, le quali giacevano
morte su li monti e nelle stalle. Per l'acqua da farsi da mangiare si
serviva di quella di Lac, cioè di qua di lantrago, ai pie' de li colli
era a Regolei e quelli di Lantrago similmente e quelli di Cugnago su a
Zeidarif, ossia la piaia, e quelli di conaja entro a Cogol, quelli di
Torsàs su per la montagna, e quelli di gaidòn fuori per le Colle e
fuori a Roit.
Il giorno 15 (quindici) Aprile andarono a cercare li morti ma si
trovarono solo teste e gambe e busti, ma nessuno intero, ma bensì tutti in
pezzi, e non si conoscevano più da uomini o donne. Fecero poi venire la
Giustizia di Belluno, due o tre volte; ma poi vedendo che la spesa
andava troppo alta si fece venire un ordine da Belluno , di farsi venire
il Meriga a vedere li morti, e ne hanno trovato fino a Burbàn. Il
popolo allora principiò a pensare dove si partisse tanta materia e li
cadaberi insieme. E allora il popolo confuso e tramortito com'era non
poteva neppure andare a vedere dove si partisse tanta materia per la
gran neve che era ancora in montagna. Ma i più coraggiosi si sforzarono
di andare a vedere e trovarono che mancavano i prati di Nadera e Tamer e
Rive e fu giudicato che sia mancato per più di 200 carri di fieno,
andato tutto in rovina. Per 12 (dodici) giorni restarono su per li colli
e mo nti e neppur qui non si vedevano sicuri e non andavano più ad
abitare le proprie case. Allora è venuto il Reverendissimo Don
Giovanni, nobile Miari Bellunese, Arcidiacono in Agordo, venne a La
Valle a consolare il popolo, lo esortò a ritornare nelle proprie case e
così la maggior parte ritornarono. Ma li fanciulli sui 8 (otto) anni
erano tanto impauriti che non si poteva più ridurli nelle ville. Li tre
villaggi di qua, cioè Cugnago, Fadès e lantrago non potevano più
andare alla chiesa e a Messa perchè si affondavano nella "Bova"
e disordinata materia di neve e terra mista . Tuttavia s'ingegnavano con
mettere tavole una dietro l'altra e così andavano a messa e alle
funzioni. Di più era allora il tempo di seminare ma ohimè !...nessuno
si curava più di seminare le loro biade. Li sacerdoti poi di La Valle,
cioè il Reverendo Don Giovanni Domenico Apollonio degnissimo Parroco di
questo Comune ed il Degnissimo Mansionario delle anime Don Desiderio
Taio e il Degnissimo Don B artolomeo Marchioni, Cappellano.
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Ma il Dio grande padrone dell'universo mondo volle
compiere il destinato castigo e mandò pure un altro castigo e flagello
assai più orribile del primo. Dunque li 22 (ventidue) Aprile in giorno
di martedì alle ore tre di notte , mentre tutti erano a letto si sentì
un terribile terremoto il quale fece trenare tutte le case, e cascavano
li coperti delle case sicchè tutti spasimati si raccomandavano a Dio,
si levarono dal letto e cominciarono a scappare di nuovo sulli monti
vicini. Sentivano che la "Bova" correva di
continuo, con gran romore ed urli spasimevoli, che si credeva si
subiasse non solo La Valle, ma il mondo intero, e lo sventurato popolo
passò tutta la notte in orazione. Giunta poi la mattina di Mercoledì
incominciarono a guardar verso la Chiesa di San Michele Arcangelo, ma
per via di caligine non potevano veder il loco e neppure si vedevano le
Ville, quindi venuta l'ora d ell'Avemaria e non sentendo suonarla
dicevano tra loro: " che cosa potrà essere che in questo giorno
non si sentono suonar le Avemarie ? ". Ma venuta poi un'ora di
giorno cessò la nebbia. Oh! Videro il dolorosissimo e spaventosissimo
successo: che quel Preziosissimo Tesoro è rimasto vittima della rovina
insieme con le due Canoniche dei preti e dei nonzoli e la deliciosissima
Cappellina di Loreto, dispiantete al tutto d'ogni cosa. Onde il popolo
comonciò a piangere amaramente e gridar misericordia vedendosi esser
privo di così bel Santuario e del rimanente. Massime quelli della Villa
di Conaggia subito che hanno il rumore lasciato da parte il timore e
vestiti di zelo e coraggio si fecero incontro alla Chiesa, videro il
gran flagello e udirono una lamentevole voce che gridava: " ohe di
Conaggia, aiuto, aiuto se no son morto ! " ; e si avvicinarono
e trovarono essere Don Bartolomeo Marchioni quasi mezzo sotto la rovina.
Simile era venuto alla serva del Rev. Don Desiderio Taio il vento
l'aveva portata via senza essere neppure mossa dal letto e portata giù
nella strada alquanti passi lontano dalla Canonica e anche dalla rovina
e senza nessun danno, essa del continuo chiamava il suo padrone , ma
indarno, perchè il campanile fu rovesciato sopra la sua camera e fu
trovato morto. Menarono quindi il primo prete Don Bartolomeo Marchioni
su a maten e fu medicato perchè era tutto ammaccato ...
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